mercoledì 18 luglio 2012

William T. Vollmann


William Tanner Vollmann, Come un’onda che sale e che scende. (Mondadori)
Sarà che da quando ho imparato qualcosina dal Corso di filosofia in sei ore e un quarto di Witold Gombrowicz (vedi nel blog) e soprattutto dopo il post su Candido di Voltaire mi sono montato la testa, ma mi è venuta una certa voglia di cimentare i miei poveri mezzi nel commento di opere di saggistica. Così mi sono preso questo librone di Vollmann, più di 900 pagine, e ci sono saltato dentro.
Stabilito che abbiamo a che fare con un trattato sulla violenza che affronta il delicato problema di cercare eventuali circostanze in cui il ricorso alla violenza è giustificato, dico subito la mia su quella che per Vollmann sarebbe la regola di comportamento più importante e da cui fa cominciare il suo tentativo di costruire un codice morale, tanto che la chiama la Regola Aurea.
E cioè, fa’ agli altri quel che vorresti fosse fatto a te. Che ho visto che adesso viene insegnata anche alle scuole elementari.
Bene, secondo me la Regola Aurea è una cretinata.
Mi spiego. Nella speranza di non passare per maniaco sessuale, perché faccio solo un esempio così, il primo che mi è venuto in mente. Ma in questo campo ho le mie idee, e non mi vergogno a tirarle fuori.
Diciamo che a me farebbe piacere, se una donna che non conosco e che non mi conosce, vedendomi per la strada o in metropolitana o in altri contesti e sentendo nascere in lei stessa medesima il desiderio di conoscermi meglio se non addirittura di accoppiarsi con me nel più breve tempo possibile, diciamo che mi farebbe piacere che questa donna me lo dicesse apertamente. Ma credo che se applicassi a questo caso la Regola Aurea di Vollmann, di fare alle donne quel che mi piacerebbe che loro facessero a me, riceverei denunce per molestie come se piovesse.
Quindi trovo molto preferibile la meno aurea regola cristiana del non fare agli altri quel che non si vorrebbe fosse fatto a noi, che sembra prescrivere una semplice astensione dal Male, ma a ben guardare richiede un comportamento ben più attivo di quel che si possa pensare. Dello stesso tipo di attivismo astensionistico o di astensionismo attivistico che porta a cercare di evitare di inquinare.
Enunciata così quella che secondo me è la prima sciocchezza di Vollmann passo alla seconda, che è veramente agghiacciante. Cioè a pag. 417 egli dichiara la propria convinzione che John Fitzgerald Kennedy sia stato ucciso da Lee Harvey Oswald. Affermazione che mi sembra fuori da qualunque possibilità di commento.
Ma se dopo questa bomba, che veramente promette male che peggio sarebbe difficile, ci si aspetta un libro di sciocchezze, si resterà totalmente delusi.
Lasciamo perdere la narrazione tutt’altro che chiara di un pezzo di storia degli Stati Uniti al tempo della guerra di secessione con conseguenti noiosissimi commenti su una bega interna che va bene che riguarda problemi attinenti al diritto dello stato rispetto ai cittadini, ma qui chi non conosce molto bene la storia degli Stati Uniti non ci capisce più o meno niente.
E lasciamo perdere la trattazione vera e propria di quello che Vollmann chiama il calcolo morale, cioè appunto la ricerca di criteri precisi sulla cui base stabilire la giustificazione dell’uso della violenza, che va da pag. 590 a pag. 677, che è indiscutibilmente un po’ pesante ma che comunque consiste di una serie di considerazioni meritevoli della massima attenzione e magari di una non superficiale meditazione.
Anche se per uno che ha deciso di trattare estesamente l’argomento dei rapporti tra violenza e potere, forse sarebbe stato opportuno leggersi qualcosa di Michel Foucault e di Zygmunt Bauman, e magari metterci dentro anche Walter Benjamin. Ma da uno che si dichiara convinto che John Kennedy è stato ucciso da Oswald, più di tanto non si può pretendere.
Tutto il resto del libro, tutto, è di una fulgida travolgente esplosiva bellezza.
Dall’inizio a pag. 589 Vollmann si scatena nei più incredibili rapidissimi passaggi attraverso una foresta lussureggiante dei più diversi argomenti di storia di filosofia di biologia e di cronaca.
Gli Uroni  Platone i Druidi l’Inghilterra dell’Ottocento le formiche gli spagnoli di Cortés la Corea del V secolo i mototassisti di Phnom Penh.
Leggi romane citate con precisione, le sue personali storie con le armi da fuoco che possiede e con una delle sue donne, Marco Antonio e Giulio Cesare, Sade, Robespierre, i samurai, Napoleone, Stalin, Trockij, le trincee della Prima Guerra Mondiale, Alessandro Magno, i Branch Davidians a Waco, Pancho Villa, Sparta, Abramo Lincoln e John Brown.
Poi c’è T. E. Lawrence (d’Arabia) e già che ci siamo c’è il confronto tra due diverse traduzioni di un passo dell’Odissea, di cui appunto una è quella di Lawrence, bellissima secondo me ma Vollmann ci fa su una menata che non mi è piaciuta per niente.
Insomma un libro dove in due pagine si parla di Sade di Thoreau della difesa che Cicerone fa di Sesto Roscio dei boy-scout e di come Turner preparava i colori per i suoi tramonti utilizzando urina e sangue mestruale di puttane.
Poi Sartre Mishima e Gauguin.
E dopo l’intervallo sul calcolo morale ci sono un po’ di foto e si riparte a pag. 697 e si va fino alla fine con gli Studi su casi concreti. Cioè il trattato che Vollmann voleva scrivere era veramente colossale, e questa è solo un’edizione ridotta, e quello che manca sono soprattutto questi Studi, che dovevano essere una serie di monografie, su personaggi storici e su fatti e luoghi e particolari situazioni.
Qui troviamo i suoi racconti di viaggi attraverso la violenza in contesti geografici particolari, Thailandia e Malesia, Mogadiscio, Sarajevo, la guerra tra bande a Kingston in Giamaica, e se nella prima parte Vollmann si era esibito in una inarrivabile tessitura di discorsi tra la saggistica e la narrativa, qui abbiamo solo narrativa di superlativa bellezza, e mi limiterei a condensare la mia opinione nel dire che Vollmann secondo me è uno di quei Maestri della parola che sarebbero in grado di tenerci con il fiato sospeso e di commuoverci fino ai singhiozzi anche dandoci da leggere la loro lista della spesa: solo il racconto del tempo trascorso in quello che rimaneva dell’ostello della gioventù di Sarajevo, muri pezzi di vetro e di mobili persone e spari e bombe e intanto fumare una sigaretta e farsi un’insalata, solo quello vale un libro a parte.
Si chiude con l’ Indice annotato dell’edizione integrale, che anche questo si fa leggere per conto suo da tanto che è bello,  e ci lascia con il cuore spezzato perché l’edizione integrale dannazione non c’è e la vorremmo leggere subito. (saposcat)
A pag. 385 c’è un soddisferà che fa il paio con un soddisfi a pag. 643, a pag. 415 gli al posto di le, a pag. 437 e 811 il solito brutto terrorizzante (ma terrificante, che oltretutto suona quasi come l’inglese terrifying, cos’ha che non va bene?), a pag. 553 c’è la sua al posto di il suo, a pag. 748 c’è sul invece di sulla e a pag. 840 mancano delle virgolette.
Raziociniamo senza timori, la nebbia terrà duro. (Samuel Beckett, Lo sfrattato)

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