domenica 12 agosto 2012

Anthony Trollope


Anthony Trollope, Lady Anna. (Sellerio)

Forse Anthony Trollope potrebbe essere considerato il romanziere del dubbio e della complessità.
Il personaggio centrale di L'amministratore, il reverendo Harding, passa tutto il romanzo nel dubbio sulla giustezza del proprio comportamento e sull’accettabilità etica della propria condizione, e con lui sono pieni di dubbi e in posizioni di complessità anche gli altri personaggi, tranne l’arcidiacono Grantly.
Anche in Lady Anna l’unico a non avere dubbi dall’inizio alla fine è un ecclesiastico. Gli altri, tutti gli altri, sono travolti continuamente dal dubbio su quello che stanno facendo e su quello che potrebbero fare. Compresa Lady Lovel, che anche nell’incrollabile certezza del suo diritto al riconoscimento del rango che le spetta, che non si piega nemmeno nell’amore per la figlia e non si ferma davanti all’omicidio, anche lei a un certo punto si trova a rimpiangere le proprie passate miserie.
La storia la racconto in fretta, o meglio non la racconto affatto perché è sufficiente riferire il fatto di partenza, che è una bega legale a proposito di un’eredità, che si incasina orribilmente intersecandosi con un possibile matrimonio e trascinando da qui i personaggi, da una disputa che riguarda una questione di rango aristocratico e di denaro, in una serie di strazi interiori che riguardano i propri sentimenti reciproci e la propria posizione nei confronti del mondo. Con incredibile ricchezza di dubbi, perfino quelli che Dante nel Canto V dell’Inferno chiama dubbiosi disiri, e con incredibile complessità di risvolti, che Trollope delinea con precisione affilata quanto delicatissima.
Quindi in questo romanzo ciò che fa la storia e sostiene la tensione narrativa non è tanto l’attesa della successione degli eventi nella contesa per l’eredità di Lord Lovel, ma la continua incertezza di tutti i personaggi principali. Che oltretutto si esprime nel contesto di quanto di più solido e certo c’era a quei tempi in Gran Bretagna, cioè la posizione dell’aristocrazia come colonna portante della società.
Ma già la Rivoluzione Francese e l’avanzare del capitalismo avevano messo in dubbio la stabilità dei ruoli sociali, e il mondo si apriva a una realtà che sarebbe stata sempre più caratterizzata da un’incostanza sociale in cui ogni individuo sarebbe stato chiamato a svilupparsi secondo le sue proprie caratteristiche individuali.
Su questo problema Marshall McLuhan in La galassia Gutenberg richiama l’attenzione parlando della tecnica della sospensione del giudizio per la quale, come dice McLuhan, siamo in grado di trascendere i limiti dei nostri stessi presupposti operando una critica di essi, che è proprio quello che sono obbligati  a fare tutti i personaggi di questo romanzo.
Rilevando a questo proposito che McLuhan cita qui Wilhelm von Humboldt che con qualche anno di anticipo sui nostri contemporanei evidenzia come il nostro sentire e il nostro agire dipendano dalle nostre percezioni cioè dagli oggetti così come ce li presenta il linguaggio, e qui vedi  Autocoscienza e realtà di Humberto Maturana.
Nella complessità narrativa e nella perfezione dell’inestricabile articolazione di tutte le vicende le une nelle altre, secondo me Anthony Trollope è paragonabile solo a Jane Austen. E con Jane Austen si trova in questo al vertice del romanzo dell’Ottocento, cioè al vertice del romanzo in assoluto, nell’essere la massima espressione della modalità visiva tridimensionale imposta dalla tipografia (vedi ancora La galassia Gutenberg di Marshall McLuhan e Oralità e scrittura di Walter Ong), in cui è proprio la presenza di un punto di vista a dare alla narrazione la caratteristica della complessità, cui si unisce la presenza continua del dubbio, in quanto ogni variazione di punto di vista si apre su tridimensionalità nuove e porta a vedere i fatti secondo una prospettiva diversa.
Che è l’ambiguo prodotto della frammentazione e della omogeneizzazione che nascono dalle possibilità di ripetitività meccanica portate dalla tipografia insieme con l’individualismo, che arriva a mettere in dubbio gli atteggiamenti nei confronti di posizioni acquisite da secoli attraverso il rango.
E il risultato è che non si raggiunge nessuna certezza, nemmeno alla fine del romanzo. (bamborino)

A pag. 32 c’è sparpaglia invece di sparpagliata, a pag. 90 signorina invece di signorine, a pag. 166 abbiamo due congiuntivi grammaticalmente ineccepibili ma foneticamente e stilisticamente orribili, a pag. 200 c’è completamene invece di completamente, a pag. 230 manca una virgola e un’altra virgola manca a pag. 348, a pag. 231 il solito realizzare invece di rendersi conto, che si accoppia trionfalmente con un soddisfi a pag. 277, tra pag. 428 e pag. 431 compare ripetutamente una più acerrima, a pag. 439 c’è un ne invece di né, a pag. 465 c’è uno sgrammaticatissimo venirne invece di venire.




La fiducia in sé stessi è il contrario del dubbio, una delle espressioni più alte dell’intelligenza umana. (Michela Marzano, Estensione del dominio della manipolazione)

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