giovedì 23 agosto 2012

Jane Austen, Francis Scott Fitzgerald


Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, (Mondadori)

Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby. (Mondadori)


Ogni epoca ha i suoi sogni e la sua gioventù.
Nei primi anni dell’Ottocento l’ideale dei bravi ragazzi in linea con il loro tempo era una famiglia armoniosa e piena d’affetto, far soldi era difficile e la somma speranza era il salto di classe ottenuto attraverso un matrimonio d’amore. Nel romanzo di Jane Austen i soldi ce li hanno quelli che sono nati già ricchi, le ragazze scapestrate vengono ingannate dai cattivi, altri cattivi diventano buoni, i cattivi stupidi vengono trattati da stupidi, l’amore trionfa e tutto va a posto.
Invece negli anni Venti del Novecento questa roba è passata di moda e fa ridere e nel romanzo di Fitzgerald i matrimoni sono disastrosi e le corna sono la regola, i soldi li fanno i gangster, i cattivi sono cattivi dall’inizio alla fine e gli amori vanno a finire male, anzi va a finire male tutto, anche i funerali, e nel disinganno generale i giovani si leggono questa bella storia che gli dice che sì, è tutto uno schifo ma questo è il nostro triste destino. Forse è con questo romanzo che comincia il genere letterario del disagio esistenziale inoffensivo, cioè il male di vivere è che le cose vanno male, ma la vita è bella e il mondo è bello e se tutto andasse bene si potrebbe anche essere felici. Che è poi l’essenza di quello che si potrebbe chiamare il buonismo contemporaneo.
Perché se guardiamo bene, in Jane Austen tutto va a finire bene ma di buonismo non ce n’è, c’è un mondo che è vicino alla frantumazione ma non c’è ancora arrivato, il denaro sta per diventare la regola universale e i dubbi stanno per esplodere ma per il momento si tira avanti ancora quasi come prima e tutta la macchina dell’esistenza gira ancora quasi perfettamente con le sue regole invariabili, anche se solo quasi.
Il buonismo diventa necessario quando la macchina non gira più se non nel caos e il denaro è diventato l’unica regola o meglio ha cambiato il suo modo di essere regola, e da elemento di definizione delle posizioni di classe è diventato un modo di soddisfare le proprie voglie (vedi di Fitzgerald anche i Racconti dell'età del jazz). E bisogna dirsi che potevi sì essere felice, ma lei ha sposato un altro e alla fine ti sparano, e anche se i soldi sembrano tanto importanti, i soldi non fanno la felicità e quel che conta nella vita sono i sentimenti, e anche se sei ricco puoi crepare male e infatti l’unico che viene al tuo funerale è il più povero di tutti. Insomma i ricchi hanno i soldi ma i poveri hanno la ricchezza del cuore e alla fine come dice Fitzgerald si mediterà sull’antico mondo sconosciuto, continuando a remare, barche controcorrente, sospinti senza posa nel passato e forse si potrà meditare anche sulle parole di Marshall McLuhan, che per Fitzgerald, in La sposa mecanica parla di volgarità sentimentale.
Ma soprattutto Jane Austen non se la tira, è solo una donna geniale che ha scritto un capolavoro con personaggi tutti bellissimi e grandiosi a partire da quel pirla assoluto che è Collins, che però non è solo un pirla ma è un’icona della sua epoca e del suo ambiente, icona di una potenza tale da mandare i raggi chiarificanti della sua luce anche nei nostri tempi, e un’altra grandiosità smisurata di Orgoglio e pregiudizio è che forse Darcy è il primo personaggio della storia della letteratura la cui interiorità si sviluppa e cambia nel corso del romanzo.
E poi Jane Austen ha sempre quel ritmo perfetto, che qui forse è al suo massimo livello di perfezione, e nella sua continua raschiante ironia riesce ad essere veramente cattiva solo con gli imbecilli e i presuntuosi.
Cattiveria che Fitzgerald non si può permettere, perché il vero imbecille presuntuoso del suo romanzo è il protagonista, che se la tira come l’Autore. (moll)




I luoghi comuni sono le uniche frasi sensate nella nostra epoca. (J. P. Donleavy, Ginger man)

1 commento:

  1. Il guaio è che Fitzgerald è sopravvalutato. Costantemente prigioniero in una attitudine autoriferita, è da considerarsi meno abile di un Sinclair Lewis o del miglior Easton Ellis. I suoi tentativi di progredire verso una letteratura più adulta sono stati, a mio parere, qualitativamente fallimentari (Tenera è la notte).
    Considerata per quello che (secondo me) è, la sua opera apparirebbe talvolta piacevole ed intrigante. Invece ci rapportiamo con un autore che, immeritatamente, viene da molti considerato essenziale.
    Il raffronto con "Orgoglio e pregiudizio" tuttavia è crudele e nonostante condivida buona parte del contenuto del post, dispiace veder maltrattare il Great American Dreamer.
    Complimenti e grazie per il sostanzioso blog.

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