lunedì 3 settembre 2012

Tobias Wolff


Tobias Wolff, Nell’esercito del faraone. (Einaudi)

Ha ragione Ian McEwan che in quarta di copertina scrive che questo libro ha un ritmo irresistibile e che si legge d’un fiato. Ma c’è dell’altro.
Si comincia su un autocarro blindato e poi con un ritmo sempre perfettamente scandito ci si sposta da tutte le parti, un po’ alla volta nella storia ci salta dentro di tutto, vita del narratore in guerra, vita del narratore prima della guerra, addestramento, partenza e arrivo in zona di operazione, storia del padre, storia d’amore con un’isterica mostruosa, e il libro potrebbe sembrare un tentativo di trattare il Vietnam in una maniera spiritosa, con il racconto di tanti piccoli espedienti divertenti per far passare il periodo della ferma facendosi meno male possibile.
Però per gradi la guerra c’è sempre di più, i morti sono dappertutto, e soprattutto il soldato si sente diventare sempre più stronzo e fa quello che può per resistere, e poi la guerra finisce e il soldato torna a casa e fa quello che può per sentirsi di nuovo una persona invece che una merda e diventare uno scrittore. E ci riesce.
Così il lettore può chiudere il libro e correre a comperare tutto quello che trova di Tobias Wolff. (saposcat)




La violenza delle masse, come il turismo, è una specie di comunione spirituale. (Thomas Pynchon, V.)

Nessun commento:

Posta un commento