mercoledì 27 febbraio 2013

Vivian Lamarque


Vivian Lamarque, Poesie1972-2002. (Mondadori)

In questo libro non troverete i “magi perversi che mandano stufe incolori in casa d’altri” di Alda Merini né la “sinagoga della spiga di grano” di Dylan Thomas, e non troverete nemmeno roba tipo Ungaretti Montale & Co.
Mai, per quasi duecentocinquanta pagine, vi potrete dire eh sì, sono proprio un vero intellettuale, che leggo una cosa così che non si capisce niente ma io sono capace di apprezzarla. Insomma, spendete i soldi e in cambio vi ritrovate in mano delle poesie ma niente soddisfazioni culturali, perché Vivian Lamarque scrive cose semplicissime, che le può leggere anche un bambino e anzi forse per leggerle come si deve bisogna essere rimasti un po’ bambini, cose divertenti e commoventi, con le parole e i giri di frasi che adoperiamo tutti i giorni e quello che sa metterci lei, la cosa in più che ci sorprende, sono piccolezze qualsiasi come i sentimenti e le emozioni. Che sono cose che le abbiamo tutti, ma quello che è difficile, molto più difficile che fare gli intellettuali, è esprimerli e soprattutto esprimerli in modo che diventino comunicabili e condivisibili. O in poche parole, in modo che riescano a passare da chi scrive a chi legge.
Scendere nei dettagli è inutile, ma potrei dire che anche solo le poesie del “Signore d’oro” valgono il libro, che peraltro è tutto così, e poi ci sono le bellissime “Poesie dando del Lei”, dedicate o meglio indirizzate al suo psicoterapeuta, e qui viene da domandarsi, se l’Autrice era innamorata di lui e soprattutto, se alla fine è riuscita a farselo e poi cos’è successo. (blifil)




La parola, del resto, è un laminatoio che allunga sempre i sentimenti. (Gustave Flaubert, Madame Bovary)

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