sabato 2 marzo 2013

John Galsworthy


John Galsworthy, Il patrizio. (Dall’Oglio)

Non ci sono personaggi che non siano grandiosi e completamente e precisamente disegnati, praticamente non ci sono personaggi secondari, non ci sono descrizioni d’ambiente che non siano meravigliose.
Non che non ci sia un protagonista. Miltoun è il protagonista. Ma anche sua sorella Barbara è una protagonista, della sua storia e della storia di Miltoun. E anche gli altri personaggi, hanno tutti una loro storia che si incastra nella storia principale con reciproche relazioni di indispensabilità e di sostanziale contributo esistenziale. Persino un maggiordomo che in tutto il romanzo dice solo poche parole, qui è inchiodato anche lui a tenere insieme qualcosa di fondamentale.
Sempre che sia possibile dire qual è la storia principale, in quest’opera breve e mirabilmente complessa.
Un romanzo in cui non ci sono stronzi, in cui nessuno fa mai la cosa sbagliata, e che comunque si chiude sull’infelicità generalizzata.
E forse il senso dell’opera è nella storia della signora Kenton, che affitta una stanza in modo che sia comunque sempre pronta per il vagabondo Courtier, e rimane in sospeso tra le sue presenze e le sue assenze, e in un certo senso vive a metà.
Come dire che vivere completamente forse non è possibile e, come è per Miltoun e per gli altri, qualunque cosa si faccia, ineluttabilmente si sbaglia.
Che forse è come dire che si fa sempre la cosa giusta, cioè in realtà si fa sempre semplicemente quel che c’era da fare, ma quando il tempo passa, anche solo un istante dopo e ci si pensa su, sembra sempre che si poteva fare qualcosa di diverso, e di meglio.
John Galsworthy è un autore post-vittoriano, e facendo riferimento a quel che dice Walter Ong nel cap. 6 di Oralità e scrittura a proposito della chiusura della trama,  potremo vedere come l’evoluzione formale si accompagni in questo caso a un’evoluzione del contenuto.
Cioè alla piattezza fallimentare delle risoluzioni esistenziali delle vicende si accompagna la mancanza di un climax finale, e forse non è un caso che la narrazione, articolata tra personaggi sostanzialmente equivalenti, in qualche modo si sviluppi attraverso episodi staccati, senza avere un asse di sviluppo generale. Tutte caratteristiche della narrazione orale, che cominciano a saltar fuori quando l’Epoca Tipografica volge al declino. E di nuovo si torna alla signora Kenton come senso del romanzo, con la sua vita che si svolge lungo gli episodi degli arrivi e delle partenze  di Courtier. (bamborino)

A pag. 13 c’è Milton invece di Miltoun, a pag. 87 c’è un biliardo, a pag. 91 manca un non, a pag. 114 ci sono i pointers, a pag. 243 ci sono dei discutibili psicologhi.
Purtroppo Il patrizio è introvabile. Io l’ho comperato in un Libraccio, compiuto in volume, come dice l’ultima pagina, nel gennaio 1970, nella bellissima collana Dall’Oglio che ha come emblema un corvo con un libro nel becco, sopra la scritta “Io sono piccolo ma crescerò”.
Di John Galsworthy adesso in italiano si trova solo Il possidente, che è l’opera di apertura della Saga dei Forsyte. 




La perfezione è raggiunta soltanto da chi si sente esule in qualsiasi parte del mondo. (Carlos Fuentes, Gente razionale)

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