lunedì 15 aprile 2013

Henry James


Henry James, Il carteggio Aspern - The Aspern papers. (Alia)

Venezia.
Un palazzo e due donne, irrigiditi nella miseria e nella vicinanza con la morte, grandi stanze quasi disabitate con le finestre raramente aperte, un giardino.
Siamo in estate, notti calde e profumate fuori, silenzi esitazioni timori e sospetti nell’interno.
Un giovane americano è venuto qui alla ricerca di un’antica amante del suo poeta preferito, nel tentativo di entrare in possesso delle lettere che il poeta le ha scritto molti anni prima.
In Oralità e scrittura Walter Ong considera Il carteggio Aspern come una variazione sul tema della ricerca del tesoro di Lo scarabeo d’oro di Edgar Allan Poe. Perché anche in Henry James il testo dà accesso a una conoscenza del tesoro, che in questo caso è una comprensione più profonda del poeta Jeffrey Aspern.
Ma qui, come il tesoro è la scoperta di un’interiorità che si nasconde, la vicenda misteriosa si svolge nell’interiorità del narratore-cercatore, ed è nei suoi pensieri più che negli eventi che si articola la ricerca, che diventa quindi lo svolgimento di un pensiero che si sviluppa e cerca di precisarsi lungo tutta la vicenda, fin dal momento dell’apertura della porta del palazzo.
Conversazioni, sguardi, movimenti lenti e scatti inattesi.
Ho già detto per Ritratto di signora che probabilmente Henry James rappresenta il punto più alto di quella che Marshall McLuhan ha chiamato l’Epoca Tipografica, e che in questa sua posizione storica coglie aspetti caratteristici anche dell’epoca dell’oralità secondaria. Così qui c’è la mediazione esterna, verso il carteggio, e la mediazione interna e addirittura la doppia mediazione dei due tra di loro, il giovane americano e l’antica amante. Nel senso di René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca.
Non è facile dire dove sia il fascino di questa storia. Forse è Venezia, che fa scivolare i fatti e le parole come le gondole sull’acqua dei canali.
Forse è il silenzio del lavoro continuo del pensiero, della vecchia Juliana Bordereau che nasconde le lettere e della sua ingenua nipote Tita, e dell’americano che le cerca, pensieri che attraversano le stanze, si aggirano per le piazze e i canali, si fermano nel giardino.
Perché forse Il carteggio Aspern è un’altra prova del lavoro di Henry James sulla distanza, già magistrale in Daisy Miller, che toccherà un vertice in Il giro di vite. Solo che qui le distanze si esplicano nelle rispettive interiorità incapsulate, più che negli spazi dell’andamento narrativo.
Fino a quando tutto si ferma nella sospensione di un pensiero non finito, non chiarito.
Forse solo un pensiero sbagliato. E allora forse i pensieri di tutti erano sbagliati, fin dall’inizio. (bamborino)

Bellissimo libro, bellissimo da guardare e da tenere in mano, carta meravigliosa.
A pag. 156 nel testo originale si va a capo come in italiano, a pag. 234-235 la traduzione incappa in un famoso insidioso false friend, che oltretutto genera frasi insensate, per un delusion che viene tradotto delusione invece di delirio o illusione, e si deplora con forza l’errore di scrivere il titolo originale all’italiana, e non come è scritto in inglese, The Aspern Papers.
Può essere interessante anche rilevare come la traduzione metta in atto con una certa frequenza interventi di ipostatizzazione (vedere qui per un chiarimento), che potrebbero anche essere considerati un segno dei tempi. Per esempio, a pag. 22 un personaggio è “all the more convinced” ma in traduzione egli ha “una convinzione”, a pag. 158 “coldly enough” diventa “con una certa freddezza” e un “be obliging” diventa “per cortesia”.




Our doubt is our passion and our passion is our task. The rest is the madness of art. (Henry James, The Middle Years)

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