martedì 28 maggio 2013

Alain-René Lesage


Alain-René Lesage, Il diavolo zoppo. (Rizzoli)

Qualcosa sulla BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli.
Sono stati i primi libri che ho visto. Ce n’erano in casa una ventina, di quelli piccoli e grigi della prima serie, tutti uguali, con la rilegatura a fascicoli e la copertina leggerissima, poco più di semplice carta. Costavano pochissimo e il prezzo variava secondo il numero di pagine, partendo dalle 60 lire del volume singolo, più o meno cento pagine, e aumentava per il volume doppio, triplo, quadruplo. E c’era la serie scolastica, copertine di cartone rosso scuro, imitazione tela, e la serie lusso, copertina telata verde scuro, con impressioni in oro sul dorso.
Ho cominciato a leggere da lì, c’era il catalogo della BUR, ci scoprivo nomi di scrittori che poi andavo a cercare nell’Enciclopedia Garzanti in cinque volumi, o nell’enciclopedia scoprivo nomi che poi andavo a vedere se c’erano nel catalogo. Mi ricordo ancora quando a Natale arrivavano i libri che avevo chiesto, sempre BUR. Mi ricordo ancora quando andavo in libreria a comperarmeli con i miei soldi.
Poi la rilegatura è passata alle pagine incollate, i volumi più grossi rischiavano di rompersi sul dorso, e la carta della copertina si è irrobustita leggermente. E poi c’è stato un periodo orribile, erano diventati libri bruttissimi, diversi uno dall’altro, libri qualsiasi. Poi finalmente la BUR è tornata ad avere uno stile, è tornata una serie di libri tutti uguali, i Classici, blu scuro, grandi, morbidissimi. Adesso lo stile della copertine s’è perso un’altra volta, c’è un’illustrazione sempre diversa. Ma il formato e la carta del periodo blu sono rimasti.
E sono bellissimi, da tenere in mano e guardarli non sono più belli come prima, ma è la carta ruvida e porosa all’apertura del libro sprigiona un profumo fortissimo, e lo mantiene a lungo, per le successive aperture e chiusure, per tutta la lettura, mentre il libro ha una morbidezza dolce, che richiama amore e rispetto. (moll)

In una notte d’ottobre, lo studente don Cleofa Leandro Perez Zambullo viene sorpreso nella camera di una donna e battendosi perde la spada. Fuggendo sopra i tetti, trova una finestra aperta ed entra in una stanza dove libera il diavolo zoppo Asmodeo, che era stato rinchiuso in una bottiglia da un mago potente.
Da lì don Cleofa e Asmodeo volano sui tetti e sulle torri di Madrid, e per tutta la notte e fino al mattino dopo guardano nelle case, nelle prigioni, nel manicomio. Asmodeo racconta i segreti di tutti, e sono storie su storie, decine di storie una dopo l’altra e qualche volta una dentro l’altra, con un ritmo ininterrottamente incessantemente perfetto, in uno stile quasi da romanzo del V secolo, personaggi di psicologia essenziale, una valanga di fatti uno addosso all’altro.
Si può rilevare questa cosa incredibile, che fino agli inizi dell’Ottocento una struttura narrativa era quasi impossibile senza che il collante tra i fatti fosse un viaggio, o comunque come qui una serie di spostamenti sia del narratore che dei personaggi all’interno delle storie che racconta e se così non era, la struttura narrativa alternativamente possibile era costituita da episodi distinti e collegati tra loro come in fondo sono le storie di questo libro, cioè più o meno come l’Iliade o come l’Odissea, tanto che un’opera decisamente rivoluzionaria come Gargantua e Pantagruele mostra una struttura a episodi nella prima parte e un viaggio nella seconda. Ma di quest’opera di Lesage si può dire anche, forse, che in essa è presente con forza l’elemento della segmentazione (vedi Marshall McLuhan, La galassia Gutenberg), in questa suddivisione delle storie attraverso gli appartamenti in cui vengono osservate dalla coppia notturna, così come forse vi si può trovare, nel guardar giù di don Cleofa e di Asmodeo dai tetti di Madrid, una comparsa del punto di vista, altra caratteristica dell’Epoca Tipografica.
Insomma si può fare il rilievo già fatto da Walter Ong  e da Humberto Maturana che il pensiero è linguaggio e il linguaggio è un ambiente condiviso, evidentemente anche nel suo sviluppo storico.
Ma il fatto è che adesso che ho finito il libro Zambullo e Asmodeo mi mancano.
Un volume triplo della vecchia BUR, lire 180, 240 pagine scritte piccolissime, c’è da leggere un sacco. Tutte le sere il mio giro nelle case di Madrid, tutte le sere le storie di Asmodeo. In questo libricino di cui ho trovato questo esemplare abbastanza malconcio anche se le pagine si aprivano con l’inconfondibile freschezza aspra del libro mai letto. Ma poi l’ho finito e adesso lo studente e il diavolo zoppo sono solo un ricordo.
Ma Lesage ha scritto anche Gil Blas, che è ancora più lungo e probabilmente ancora più bello. Anche se per procurarmelo l’ho dovuto cercare in Rete, come Il diavolo zoppo, perché c’è questo schifo (lo schifo nel senso di roba schifosa, non nel senso della barchetta, vedi sotto) che le opere di Lesage in italiano non le pubblica più nessuno, anche se è uno scrittore importantissimo che ha influenzato tutti dopo di lui e ai suoi tempi aveva un successo grandioso.
Accontentiamoci. Bisogna sempre accontentarsi. (bamborino)

L’affetto profondo che si prova per un BUR degli anni Cinquanta non ci porta ad astenerci dai rilievi editoriali. Quindi si lamenta a pag. 55 un detestò invece di detesto, malvage a pag. 81, Balhaban invece di Balhabon a pag. 234 e soprattutto gli al posto di le a pag. 68 e 198.
Però si festeggiano alcuni deliziosi arcaismi come ciera riferito all’aspetto a pag. 90, da prima invece di dapprima a pag. 130, sù con l’accento dappertutto e a pag. 145 si è invece del più semplice moderno è. In più, a pag. 145 abbiamo imparato che esiste lo schifo anche nel significato di piccola imbarcazione.   





Ci vuole la maturità. Ma allora è troppo tardi. È quello che c’è di più stupido, nella maturità: viene sempre troppo tardi. (Romain Gary, L'angoscia del re Salomone)

Nessun commento:

Posta un commento