sabato 18 maggio 2013

Michael Herr

Michael Herr, Mr Winchell. (Alet)

Guardo le note editoriali e scopro che questo è un libro di vent’anni fa.
Così mi domando perché non l’hanno pubblicato prima, e nello stesso tempo mi domando perché l’abbiano pubblicato adesso. Cioè cos’è passato nella testa di quelli che hanno deciso di non tradurlo in italiano vent’anni fa, e cos’è passato nella testa di quelli che hanno deciso di tradurlo adesso.
Cioè i motivi delle decisioni editoriali. Boh.
Accontentiamoci, anche perché non c’è altro da fare, ringraziamo Alet, e non serenamente chiniamo il capo davanti a chi ha deciso che per noi valeva la pena di leggere Branchie ma questo Mr Winchell ce lo potevamo risparmiare.
Michael Herr è un grande scrittore, e qui fa la stessa cosa che ha già fatto con quel capolavoro che è Dispacci, cioè ci scaraventa in mezzo alla cosa che racconta, che in questo caso è la vita di uno degli uomini più importanti della storia dei mass-media negli Stati Uniti, ovvero colui che tra gli anni Trenta e i Quaranta del secolo scorso inventò il gossip.
Lettura travolgente, che ci si potrebbe accontentare della bellezza dell’opera, travolgente e sfolgorante bellezza, ma non basta perché la lettura genera una serie di riflessioni sul linguaggio e sulla scrittura.
In quanto Michael Herr ha cominciato a scrivere Mr Winchell come sceneggiatura cinematografica di cui poi non s’è fatto niente, ma era troppo bello per non continuare a scriverlo e soprattutto per non continuare nello stile della sceneggiatura, e allora ci si può domandare in che posto mettere questo miracolo stilistico che sicuramente è linguaggio scritto ma linguaggio scritto di un’epoca in cui sta succedendo qualcosa nei rapporti tra il linguaggio scritto e quello parlato, e qui ci troviamo di fronte a una scrittura che in realtà dovrebbe servire appunto per il parlato del cinema. Che non è la stessa cosa del parlato del teatro.
Cose di cui non so che dire, e rimando come al solito alla lettura di Walter Ong.
Poi non sarebbe da trascurare anche una riflessione su quello che succede nel nostro cervello, cioè se leggendo questo libro leggiamo, ascoltiamo o vediamo, perché ci sono anche brani che danno istruzioni visive per cui dal romanzo si passa mentalmente a una sorta di film privato proiettato nella nostra testa e comunque è sempre tutto un movimento che dalla parola passa al gesto e all’immagine e non si ferma mai.
Insomma l’avventura esistenziale di Walter Winchell passa dai teatri di vaudeville (una cosa tipo il nostro avanspettacolo) ai giornali alla radio ai gangster agli uomini politici e noi ci ritroviamo con lui per strada nei locali nei giornali in giro di notte in macchina, come con Dispacci ci siamo trovati in Vietnam in mezzo alla giungla agli spari e alle bombe. (bamborino)

Abbiamo solo un orribile soddisfi a pag.103 e un patetico invece di patetica a pag. 177. Per il resto gran piacere anche per la bellezza dell’oggetto, come sempre per Alet.




La vita è quello che si vede negli occhi della gente; la vita è ciò che essi imparano e, dopo averlo imparato, mai cessano, per quanto tentino di nasconderlo, di essere consapevoli - di cosa? Che la vita è così, pare. (Virginia Woolf, Un romanzo non scritto)

Nessun commento:

Posta un commento