lunedì 20 maggio 2013

P. G. Wodehouse


Pelham Grenville Wodehouse, Il codice dei Wooster. (Polillo Editore)

Wodehouse è probabilmente lo scrittore umoristico più famoso di tutti i tempi, tenendo presente che è giusto considerare Jerome K. Jerome decisamente qualcosa di più di uno scrittore umoristico. Come il maggiordomo più famoso di tutti i tempi è il suo Jeeves, personaggio geniale al servizio di Bertram Wooster, giovanotto inglese non intelligentissimo che vive di rendita tra le due guerre e racconta in prima persona questa storia, che parte da una lattiera d’argento inglese del diciottesimo secolo a forma di mucca e da lì si espande sempre più velocemente e irrimediabilmente intricata, con una trama più che avvincente in mezzo a equivoci e sorprese di ogni genere.
Cioè è chiaro che succedono solo cretinate da ridere, ma il ritmo narrativo non è da meno dei romanzi d’azione più venduti. Anzi. E non mancano personaggi davvero terribili, come l’uomo il cui sguardo riuscirebbe ad aprire un’ostrica alla distanza di sessanta piedi. Il tutto raccontato in uno stile che si può definire solo come elegantemente britannico, con i primi sorrisi già nella prima pagina e risate a pioggia poi fino all’ultima.
Sottolineando che questo non è un invito a leggere tutta l’opera di Wodehouse né tutti i romanzi del ciclo di Jeeves, cioè perché no, se si vuole si possono leggere, ma questo specifico titolo è di grandissima lunga superiore al resto, e se negli altri si ride abbastanza qui c’è veramente da sbellicarsi. (moll)




So di non essere un bambino, ma non so se voglio essere un uomo. (Henry Miller, Sexus)

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