Audrey Niffenegger, La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo. (Mondadori)
Si comincia a capire che aria tira dal fatto che a pag. 18 le serrature della porta della casa del protagonista sono diciassette all’atto dell’apertura e trentasette quando in seguito le chiude, poi a pag. 26 diventano centosette, e il gusto elegante della comicità iperbolica tipo Littizzetto continua, quando la protagonista dice che la sua compagna di camera infila schegge di bambù sotto le unghie alla gente per farla confessare, e poi il protagonista ci dice di avere un’erezione che probabilmente è più scatenata di un giro fatto da ragazzini sulle montagne russe senza accompagnatori adulti, e su questo direi anche che casomai saranno scatenati i ragazzini, ma come fa ad essere scatenato il giro non lo capisco, ma forse qui Audrey Niffenegger ci vuol parlare dei suoi problemi nei confronti delle erezioni.
Il protagonista Henry ha una malattia genetica che lo porta a viaggiare involontariamente e senza possibilità di controllo nel tempo, e fin qui ci troviamo negli ambiti della comune fantascienza, ma siccome questo non è un romanzo essenzialmente di fantascienza ma una vera bellissima storia d’amore con molte pretese e molte serrature, Henry e Clare, la sua moglie di cui al titolo, fanno spesso raffinati riferimenti culturali e occasionalmente riflessioni filosofiche sul rapporto tra la realtà e la fantasia e sul determinismo senza peraltro sapere che cosa sia.
Insomma i due si incontrano e si amano a diverse età di volta in volta diverse per lui e per lei, così è in questo senso che non c’è fantascienza ma solo questa grande storia d’amore normalissima però con questa trovata geniale (sic) che adesso lui è giovane e lei è una bambina poi lui è un bambino e lei è grande e via così e alla fine lui ha 43 anni e lei ne ha 82 e anche se è vecchia decrepita continua ad aspettarlo che grande commozione da mettersi a piangere.
Un problema di scarsa coerenza narrativa è che Henry non solo viaggia nel tempo ma si moltiplica e si incontra con sé stesso, che se fosse una storia di magie come Canto di Natale di Dickens andrebbe benissimo, ma Audrey Niffenegger ha fatto la bella (sic) pensata (ancora sic) di tirare in ballo la genetica e allora l’asino non sta in piedi, e un altro problema è l’inserzione continua di particolari descrittivi irrilevanti che, uniti all’elegante comicità, mi hanno reso intollerabile questa lettura, per cui l’ho piantata lì.
Anche se devo riconoscere che probabilmente è qui che va cercato il motivo del successo mondiale del romanzo, nell’unione della narrazione di particolari esistenziali irrilevanti con la comicità iperbolica, che costituisce la base di più o meno tutte le conversazioni che si fanno al giorno d’oggi, e che quindi mi riescono intollerabili come questo libro. (moll)
Un lungo fidanzamento è una sorta di contratto dal quale una delle due parti è libera di uscire, trascinandosi dietro però l’intero capitale dell’altra. (William Makepeace Thackeray, La fiera delle Vanità)
...a me è piaciuto... ;-)
RispondiEliminaQuando ho letto questo libro, ho deciso di passare sopra l'inspiegabile. Stranamente ce l'ho fatta, e ho arricciato il naso poche volte. Diciamo che ho dato la precedenza ai kleenex, e così sono riuscita a commuovermi esattamente come credo volesse la Niffenegger. A distanza di tempo però, non me lo ricordo poi così bene nei dettagli, mi ricordo solo che è la bellissima storia di un amore che nessuno vorrebbe mai vivere.
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