José Saramago, Il viaggio dell’elefante. (Einaudi)
Ecco un gran bel libro, in cui un grandissimo scrittore ci risucchia e ci porta in giro raccontandoci con una prosa sgargiante (sgargiante non basta, si può dire esplosiva pirotecnica fantasmagorica abbagliante) una storia che è una storia per modo di dire, è solo il fatto che nella metà del Cinquecento decidono di portare un elefante dal Portogallo fino a Vienna e il cornac che lo guida è un personaggio indimenticabile, cioè indimenticabile lo fa diventare Saramago che se l’è inventato e ce l’ha raccontato così, come piaceva a lui e come è piaciuto tantissimo anche a me, e nel fare le cose come gli veniva ha messo i nomi propri sempre minuscoli, con la maiuscola utilizzata solo come apertura del discorso diretto, che nella prima pagina dà un piccolo disturbo ma poi va bene e forse ha un suo perché, che potrebbe essere di rendere più omogeneo l’aspetto della pagina, ma chissà, magari l’Autore ci vuol solo prendere in giro, e un’altra bellissima cosa che m’è piaciuta da matti di questo romanzo è la totale assenza del punto interrogativo.
Ma non basta la bellezza del racconto, c’è in più c’è la bellezza della continua fortissima intrusione metanarrativa che commenta non solo i fatti ma anche il testo in quanto tale, facciamo un ossimoro e diciamo con violenta leggerezza, e adesso basta perché il libro è veramente un piacere stilistico ininterrotto e qualche volta mi sono addirittura messo a ridere e allora c’è solo da leggerlo. (bamborino)
A pag. 137 c’è un riempirla al posto di riempirlo, e la vera e più pericolosa influenza suina, la malattia del pronome sbagliato, altrimenti detta pronomiosi o morbo dell’ignorante, colpisce anche questo peraltro meritevole editore, con un osceno gli al posto di le a pag. 128, e volendo ce ne sarebbe un altro, ma questo può essere discutibile, a pag. 168. Poi c’è la faccenda del più prossimi, e questo blog sarebbe un blog felice come l’elefante salomone, o solimano, se nei commenti arrivassero un po’ di pareri su questo, che non è la prima volta che mi capita di trovarlo. Cioè più prossimo si può dire o non si può dire.
Può avvenire nell’universale sistema dell’eticità, che, per esempio, il principio e il sistema del diritto civile, che attiene al possesso e alla proprietà, di tanto si approfondisca in sé da prendere, nell’ampiezza in cui si perde, sé stesso per una totalità in sé incondizionata e assoluta. (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale)
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