lunedì 31 dicembre 2012

Georges Simenon


Georges Simenon, I Pitard. (Adelphi)

Una serie di metafore telescopiche. Infilate una dentro l’altra.
Il viaggio del cargo di Émile Lannec è una metafora della vita come percorso chiuso in mezzo all’incomprensibilità degli altri in un mare di solitudine, dentro spazi angusti in cui si deve continuamente negoziare la propria reciproca collocazione, attraverso sorprese, incomprensioni, misteri e scoperte.
La tempesta è una metafora di quegli eventi esplosivi che sembrano sconvolgere tutto ma in realtà ci riportano a quello che siamo sempre stati e che non abbiamo mai smesso di essere, al punto di origine dal quale non ci possiamo staccare e che ritroviamo sempre.
Il mare del settentrione, gelido e con la sua aria buia e densa, è il mare in cui ci inoltriamo giorno dopo giorno, con la stiva carica di quel che ci portiamo dentro e che rischia di rompersi da un momento all’altro.
E sotto a tutto questo, i Pitard sono la metafora di quello che determina la nostra vita e le vite di chi ci sta intorno, in una maniera oscura e che non ci è mai possibile comprendere né modificare.
Anche l’immagine più bella del romanzo, i seni nudi di Mathilde che nella tempesta risaltano bianchissimi tra “tanti uomini scuri”, può essere una metafora dell’unicità esclusiva delle nostre esistenze.
Alla fine, ricominciando da capo come facciamo da sempre tutti i giorni, ci potremo sedere in un locale a bere e ad ascoltare il violinista, mentre il nostro passato si richiude su sé stesso, lasciando la sua traccia.
C’è sempre qualcosa da imparare, con Georges Simenon. (moll)




Se la felicità mi è irrevocabilmente negata, ho il diritto di cercare il piacere: e troverò il piacere, a qualunque costo. (Charlotte Brontë, Jane Eyre)

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