Uwe Timm, Rosso. (Le Lettere)
Regalo per Natale da una delle pochissime persone gentili che conosco. Leggo di tutto (anche la carta del burro, come dice mia madre) ma in genere rifuggo dalla letteratura tedesca, i racconti sulla resistenza e le storie presuntuose. Questo sembrava proprio un regalo sbagliato: autore tedesco sconosciuto, copertina rossa, titolo Rosso e sopratutto, l’affermazione “Rosso riflette sulla vita e la morte, sull’amore e l’amicizia, su sogni e speranze, sconfitte e utopie”.
Il libro ha avuto però la fortuna di venirmi in mano un giorno in cui la voglia di disertare dalla vita era più forte dei pregiudizi letterari. Non ci sono capitoli. Si deve leggere senza perdere una riga con ritmo costante, come quando si vuol nuotare a lungo. È un susseguirsi di storie di vita cosiddetta normale, frapposta a pensieri e giudizi di un io narrante, Thomas Linde, di professione scrittore di discorsi per funerali. Sta scrivendo anche un saggio sul colore rosso (pieno di luoghi comuni e un po’ banale).
Rosso è ambientato nella Berlino di oggi, con descrizioni quasi fotografiche di certe realtà quotidiane non scontate (la casa senza quadri o arredi) e un po’ bislacche (le opere d’arte fatte con la luce da un’amichetta saccente). Sembra esserci una trama aggrovigliata intorno alla morte di Thomas (il libro inizia con lui che si guarda a terra dopo essere stato tirato sotto da una macchina) e l’ultimo sermone che sta scrivendo per un amico di gioventù con la passione per la solitudine, l’anarchia e la voglia di mettere una bomba per distruggere un monumento. Alla fine però è forse solo un minestrone di ricordi e riflessioni non proprio felici sulla vita tra gli anni sessanta e adesso.
E fino a qui niente di speciale, se non il piacere del bello stile e di farsi venire in mente certe considerazioni su fatti ed eventi passati se si ha tra i 45 e i 60 anni. Bello scritto, ma forse è un libro per pochi. Credo che solo una certa generazione possa apprezzare certe immersioni in un passato così dissimile dalle miserie della realtà di oggi. Per capire fino in fondo Rosso bisogna aver vissuto certe cose, avere buona memoria ed essere abbastanza onesti da guardare al passato con malinconia e senza rassegnazione.
Ma il libro per me alla fine è stato un uovo di Pasqua. La sorpresa è stata trovare il sosia letterario di una persona che conosco da più di vent’anni. I due (Thomas e il mio amico) sono uguali, stessi pensieri, stessi piaceri, stesse parole per descrivere il sesso, la politica, la vita. Stesse esperienze, stesso tipo di donne, stesse manie. Addirittura stesso arredamento e stesso modo di trattare i libri.
A dirla così la cosa non sembra una scoperta sconvolgente ma in realtà lo è. Leggere è un piacere ma quando quello che leggi ti racconta una persona che tu stessa conosci, è un incubo. Hai paura di leggere perché potresti scoprire che la realtà non esiste, che gli altri sono solo personaggi di un libro, che forse stiamo tutti vivendo in un libro e da qualche parte c’è qualcuno che racconta la nostra storia e tu hai la brutta sensazione di essere un alieno o un robot di una storia di Philip Dick. (alia)
Nel romanzo è citato l’inno comunista cinese L’est è rosso. Può sembrare una traduzione corretta di un possibile tedesco Ost ist rot. Però il traduttore evidentemente non è stato, al momento giusto, quello che allora si diceva un filocinese. E non sa che in italiano quell’inno si chiamava L’oriente è rosso.
I grandi scrittori non sono quelli che ci dicono di non giocare col fuoco, ma quelli che ci bruciano le dita. (Stephen Vizinczey, I dieci comandamenti di uno scrittore)
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