martedì 19 febbraio 2013

Jennie Walker


Jennie Walker, 24 per 3. (Einaudi)

Problema, qual è la nicchia di mercato di questo libro.
Cioè d’accordo, uno/a lo legge e si sente una figata. A parte che ci si sente già una figata anche solo al cospetto della elegantissima e strabellissima copertina, e tutto il libro inteso come oggetto è compostamente meraviglioso nella sua bellezza di colore dimensione consistenza. Arioso e rinfrescante anche solo a guardarlo.
E si legge bene, va via in fretta. Però che sia ben chiaro, Jane Eyre va via molto, molto più in fretta.
Una cosina così, sulle imprevedibilità e sulle irregolarità in mezzo a quelle che dovrebbero essere le regolarità dell’esistenza che proprio nel suo dipanarsi in mezzo a infiniti regolamenti si rivela sempre inaffidabile, insomma le solite cose che le abbiamo già lette mille volte, con il diecimila volte già letto (sic) adulterio come generatore di incertezze esistenziali, chi la dovrebbe leggere, una cosina così.
Pur nella sua eleganza di presentazione e nella sua indiscutibile eleganza di scrittura.
Cioè, forse qualcuno/a che ha già letto tutto e non sa più cosa leggere. Se ha già letto anche Chin P’ing Mei, e poi ha letto anche Il viaggiatore incantato.
O forse qualcuno che ha letto poco, ma proprio tanto poco, e con questo libro se la sfanga con la piccola fatica di 126 pagine da 1700 battute con cui porta a casa ripetute subentranti eleganze, di cui non ultima è la sciccamente bizzarra eleganza dell’evento che percorre i fatti e con essi si interdenta, la partita di cricket Inghilterra-India che dura i cinque giorni del nostro romanzino.
Il tutto qua e là spruzzato di occasioni di riflessione filosofica che offrono una ulteriore conferma interiore della propria raffinata altoculturale intellettualità e non solo, permetteranno di consigliare il libro a un amico/a, cui peraltro si sarà già consigliata con successo la lettura del grande Milan Kundera. (moll)

P.S. Dopo aver comperato il libro, mi sono accorta che sulla quarta di copertina è riportata l’opinione che Lui (cioè Mick Jagger) ha dato del libro: “Fantastico”. Voglio che sia ben chiaro che la mia valutazione non entusiastica di quest’opera non comporta una qualsiasi mia opinione e tantomeno una qualsiasi presa di posizione da parte di questo blog sui gusti letterari di un uomo che ha lasciato un’impronta fondamentale nella storia della musica, che è una delle incarnazioni dell’Eros, e che ha tra l’altro scritto il testo di Satisfaction, che secondo me e secondo gli altri che partecipano a questo blog è una delle più complete rappresentazioni dello spirito della seconda metà del XX secolo.
A pag. 71 viene presa la decisione di tenere il singolare per mango al plurale, che sarebbe ineccepibile se mango fosse una parola inglese, ma il mango si vende da tempo anche in Italia, in italiano si chiama mango, e il plurale di mango, vedi Devoto – Oli, è manghi. Forse più significativa, nell’ambito di un testo pervaso dallo spirito della trovatina originale, ma forse anche celestialmente ridicola, appare la decisione presa a pag. 99 di tradurre l’inglese upgraded con l’italiano (italiano?) upgradato. Venghino venghino siorre e siorri al circo della degradazione (o forse a questo punto si dovrebbe dire degradation? o degradescion?) della lingua.




Le conversazioni a letto oscillano fra l’enigma e la trasparenza. (Roberto Bolaño, I detective selvaggi)

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