Craig Clevenger, Il manuale del contorsionista. (Mondadori)
È tutto fasullo. Alcune persone sono diverse dagli altri e se ne accorgono presto. Allora, per tentare di sopravvivere, decidono di camuffarsi, di nascondersi, di mimetizzarsi.
La vita diventa così un’acrobazia ad essere, fare e dire come vogliono gli altri. Ad eclissare pensieri e addirittura il vivere quotidiano per non soccombere alla futilità, all’imbecillità, all’inumanità. Anche perché in questo mondo c’è posto solo per i fasulli, e un modo di essere falsi non è meno dignitoso di altri. Forse è solo più eroico.
John Dolan Vincent impara giovanissimo ad essere questo tipo di contorsionista e spinge la sua attività ai massimi estremi. Si inventa e si reinventa ogni volta tutto, dal nome ai documenti, dai genitori alla casa in cui ha vissuto. Tutto è finto. È più intelligente degli altri, ma la scuola lo relega nelle classi differenziali. Soffre d’emicranie terribili che tenta di sedare con dosi eccessive di farmaci vari, ma tutte le volte che finisce in Pronto Soccorso i medici lo etichettano come pazzo con tendenze suicidarie. Ha una mano con sei dita e per questo al primo furtarello finisce in riformatorio trattato come un mostro criminale. L’unico momento di pace e di verità Vincent lo trova nell’amore, e per una volta si apre a una persona, e con lei è disposto a condividere il vero della sua falsità. Ma se con lei è tutto vero, è così vero che non può esistere.
Clevenger prova a raccontarci questa vita piena d’invenzioni e solitudine scrivendo alla fine un manuale quasi perfetto per chiunque volesse vivere ingannando tutti, psichiatri, burocrati e polizia, al solo scopo di ridurre angherie e cattiverie; per chiunque volesse inventarsi una vita per sfuggire a una società che crede di avere tutto sotto controllo. Per chiunque volesse apparire nascondendosi.
Il Manuale è però ben di più che un thriller o un libro di istruzioni per aspiranti falsari. È innanzitutto un bel saggio di scrittura senza fronzoli che prende fin dalle prime righe, con le parole che hanno un senso e una trama avvincente che si sposta tra passato e presente con un ritmo tutto suo senza salti né buchi. E poi ci sono sentimenti e emozioni vere, droga e alcol abusati per sopravvivenza, dei buoni sentimenti in versione originale messi lì senza secondi fini e una descrizione della vita quotidiana di un realismo talmente distaccato e aspro e preciso da sconfinare nella denuncia sociale. Proprio per questo, per la vera bellezza del romanzo, gli si potrebbe muovere una sola critica, cioè che l’Autore abbia cercato in qualche passaggio peraltro breve, di fare e dire come vogliono gli altri, di uniformarsi alle richieste dell’editoria. Ma in fondo, questo è quello che fa il suo Vincent. (alia)
Ci sono gli uni e gli altri e gli uni sono gli altri ma non lo sanno, non avendo di meglio. (Romain Gary, Mio caro pitone)
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