Paul Valéry, Ispirazioni mediterranee. (Mesogea)
Dacci oggi la nostra sorpresa quotidiana.
Che in una giornata di primavera che si accartocciava in un’estate improvvisa si è configurata in un libretto azzurro in sedicesimo, bellissima copertina vergatina di goduriosa tattilità, 80 pagine occhiello compreso (chi non sa cos’è l’occhiello può leggere Il libro. Avvertenze per l'uso di Maurizio Accardi), di cui 32 pagine di testo vero e proprio e 32 di sorprendente Introduzione. Introduzione di cui basterà dire che in essa compare il mirabolante sintagma scelta disforica, che mi lascia lì, cioè qui, senza parole.
Cercherò quindi di essere più stringata che posso, e dirò solo che lo scritto di Paul Valèry contiene una bella riflessione su una cosa che si sta perdendo, cioè che essere uomo è parte dell’essere qualcosa che supera la specificità delle persone singole, parte dell’essere un IO universale che riassume e contiene la vita di tutti.
E ancora, che tutto è cominciato nel Mediterraneo, tutto quello che ha portato l’uomo ad essere misura e dominatore delle cose, e tutto quello che ha portato il mondo ad essere quello che è adesso. Sono stati i commerci, è stata la concorrenza di tanti popoli, è stata la potenza trascendente del sole. Ma alla fine Paul Valéry accenna anche al potere della parola, un potere che è anch’esso diventato formidabile a partire dagli uomini del Mediterraneo, dove è stato inventato prima l’alfabeto fonetico e poi l’alfabeto fonetico a vocali indipendenti con cui cominciò la speculazione filosofica dell’Occidente.
Il discorso di Paul Valéry si snoda lungo le bellissime immagini dei suoi ricordi d’infanzia e di adolescenza, nella sua città sul mare, si perde nelle bellezze del nuoto, in mezzo agli odori e ai rumori del porto, nella forza dei colori e della luce.
E questo elogio del Mediterraneo Paul Valéry lo pronuncia nel 1933, mentre qualcun altro strombazzava scemenze sulla superiorità degli ariani teutonici che si preparavano a inserire nella storia dell’umanità il loro foruncolo, fetido e purulento come tutti i foruncoli ma non per questo meno fastidioso, il Reich millenario che durò dodici anni. (moll)
Gli uomini dovrebbero portare sin da giovani l’uniforme, per abituarsi ad agire insieme, a confondersi tra i loro simili, a obbedire in massa e a lavorare collettivamente. Qualsiasi uniforme favorisce sia il senso militare, sia un contegno modesto e risoluto. Senza contare che tutti i ragazzi nascono già soldati. (Johann Wolfgang Goethe, Le affinità elettive)
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