venerdì 11 gennaio 2013

Thomas Pynchon


Thomas Pynchon, L’incanto del lotto 49. (e/o)

Non dovrebbe, ma può capitare a tutti di trovarsi impreparati, nel giro delle proprie abituali buone frequentazioni, ad una conversazione su Thomas Pynchon.
Quindi può essere utile, tanto per non far figure, leggere questo libro che ha il pregiatissimo pregio, tra le opere di questo Maestro del postmoderno, di essere corto.
Premesso che l’incanto del titolo non è un incanto montanaro del tipo zauber ma è un incanto nel senso di vendita all’asta, siamo stati piacevolmente rapiti fin dalla prima riga dal bellissimo nome della protagonista, che si chiama Oedipa, e abbiamo saputo subito che è stata nominata esecutrice testamentaria di Pierce Inverarity, un milionario bizzarro sulle cui bizzarie sorvoliamo e con cui Oedipa aveva avuto una storia. Poi arriva l’avvocato Metzger, che la contatta in un motel, gira con una bottiglia di tequila in una tasca interna della giacca ed è un ex bambino prodigio che aveva recitato alla televisione (Salinger?) e sua madre (sua dell’avvocato) lo voleva cascerizzare, e nel motel c’è un gruppo rock che si chiama i Paranoici e che farà altre simpatiche (sic) apparizioni nel corso del romanzo.
Dal motel partiamo verso una storia misteriosa che va indietro di secoli e abbiamo modo di imparare un sacco di cose sull’invenzione delle poste da parte della famiglia Thurn und Taxis, come del resto dai romanzi dell’eruditissimo Pynchon si imparano sempre un sacco di cose, così come abbiamo modo di divertirci da matti o di annoiarci da crepare, secondo come ciascuno vede la letteratura, in mezzo ad ogni genere di casini incasinati e di misteri misteriosi, fino al fatidico momento in cui il banditore si schiarisce la gola e parte l’incanto del famoso lotto 49.
Non è facile spiegare perché e non ci provo nemmeno, ma rispetto a tutti i suoi imitatori o scopiazzatori (mi viene in mente una romanzo italiano dove c’è un gruppo musicale che se non mi ricordo male suona dei kazoo o delle cornamuse nelle fogne di una città indiana) Pynchon mi dà fortemente la sensazione di essere uno scrittore onesto o come posso dire, uno che scrive così perché gli viene così e perché forse secondo lui la letteratura adesso può essere solo questa cosa disgregata e abbastanza priva di senso come il mondo che le sta intorno, e non un furbastro modaiolo che traveste da stravaganza il più piatto sentire comune. Insomma vale la pena di provare. (blifil)




Ogni lettura è un atto di resistenza. A tutte le contingenze. (Daniel Pennac, Come un romanzo)

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