Ingo Schulze, Bolero berlinese. (Feltrinelli)
Già questo libro aveva cominciato a piacermi da subito, ma quando a pag. 175 Ingo Schulze dice che la musica dei Pink Floyd è soporifera mi sono detto ecco, un’anima che vibra sulle mie frequenze.
Ma lascio perdere queste affinità di spirito (spero non elettive) e passo al testo. Che è una raccolta di racconti del tutto particolare, e la particolarità è che è divisa in tre parti, divisione che secondo me ha un significato che riguarda il senso del sé.
I racconti della prima parte sono momenti di sospensione esistenziale, come dubbi senza fondo e senza possibilità di soluzione, punti di arresto.
Quelle della seconda parte invece sono storie di straniamento, di esplosione di prospettive interiori, momenti in cui sembra di afferrare il senso della vita ma invece no, non ce n’è, e forse invece sì, insomma tutta quella meravigliosa poca chiarezza di tutti i momenti di tutta la vita di tutti i giorni, e segnalo Fede, amore, speranza, numero 23 che secondo me è un capolavoro, che forse per capirla davvero fino in fondo, in una cosa così bisogna esserci passati, ma anche se non ci si è passati dentro credo che il profumo della pelle e dei capelli di questa Magda riesca a traspirare dalle pagine, e magari riesce a trasmettere questo tipo di emozione anche a chi non l’ha mai provata.
Per la terza parte, abbiamo tre storie che direi trattano della pienezza esistenziale. O di quei momenti in cui ci si rende conto di chi siamo e da dove veniamo e dove stiamo andando, e magari poi il tempo passa e le cose cambiano e ci si ripensa e ci si rende conto che non era vero ma non importa, quello che conta è quel momento in cui sembra di capire tutto e si perde la percezione di quella penosa distanza interiore tra l’io e il sé e il soggetto e l’oggetto diventano un’unica consapevolezza compatta, si sente forte il senso della propria vita, anzi non si ha più bisogno di cercarlo e di sentirlo, e si sta bene. E l’ultimo racconto è la storia di un breve viaggio in treno che entra ed esce da un racconto che lo scrittore rivede durante il viaggio, e il momento di coscienza perfetta si ferma lì, in treno, e passa dalla terza alla prima persona, lo scrittore si perde nel racconto e il racconto si perde nello scrittore, tutto diventa una cosa sola, come se la piena comprensione di sé fosse un fatto istantaneo di puro movimento, che si può fermare solo come istante del flusso continuo della vita.
Ma che sia ben chiaro, che questi non sono racconti filosofici che esplicitano significati nascosti attraverso menate simbolistiche e culturalizzanti. Sono racconti bellissimi e semplicissimi, storie di gente che mangia e beve e scopa e lavora e gioca con i bambini, storie che si fanno leggere di gusto. Insomma roba ottima alla portata di tutti, cioè anche di quelli che gli piacciono i Pink Floyd.
E forse in queste storie Schulze ci ha messo anche lo spaesamento e la ricerca di un senso nuovo che accompagna la nuova condizione dei tedeschi dell’Est che, abituati a vivere in un altro modo, fanno i conti con la riunificazione.
Non importa. Come al solito i temi esistenziali travalicano i contesti e le occasioni storiche, e tante cose sono cambiate ma tante cose, dai tempi di Omero, sono rimaste identiche. (blifil)
A pag. 107 c’è un pulmino Volkswagen argento metallizzato, casomai sarà grigio metallizzato, l’argento è già un metallo per conto suo, e a pag. 147 manca un verbo, oppure c’è dei al posto di per.
Essersi astenuti dal peccato è probabilmente l’unico vero peccato. (Alexander Lernet-Holenia, Marte in Ariete)
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